Tat’jana Bek

POESIE

(Traduzione di Evgenij Solonovi_ e Gario Zappi)

 

1.

M’hanno sempre attratto le suburre

e le discariche dimenticate da Dio…

Non la pagnotta, ma le croste del pane.

Non le gru, ma le brutte cornacchie.

Le vie

se tortuose,

i boschetti

se radi,

i visi

non belli,

gli sgabelli

zoppi.

A tutto ciò che è così imperfetto

donerò, da faziosa qual sono, la bellezza...

Quello che davvero è bello, certo

non ha bisogno di me per sopravvivere!

 

2.

UN’ESTATE FELICE

In un cucinotto quattro poeti ancora sconosciuti

intorno a una padella e una bottiglia verde scura

gridavano, intonavano, balbettavano versi tristi.

Alla finestra, invece: un’estate verde chiara!

Quattro poeti, quattro voli spiccati di fierezza,

consapevoli: "Sarà il mio l’assolo migliore!

In antico slavo. In latino. Nel gergo della malavita!"

(Senza ironia! Della quaterna son l’ultima, io)

... Segno remoto nel tempo: una sigaretta di straforo.

Sulle mie spalle d’atleta lo scialle achmatoviano.

Recito versi squillanti "sulla tristezza universale"...

Ma irrompe dalla soprafinestra un’estate felice!

 

3.

L’ALBERO SUL TETTO

Sono un albero cresciuto sul tetto,

più gracile, più contorto, più basso

di quelli normali, autentici, sicuri

ch’io sia più superbo e alto di loro.

Si radicano al suolo con possenti radici

simili ad ancore arrugginite,

mentr’io in punta di piedi tremo per loro

che mi mancano tanto, vicini, lontani.

Sradicato, ma ben lungi dal cielo.

- Mi udite? Come mi sento solo,

confitto dal caso in questa fenditura!

Solo il vento mi carezza la frangia fulva.

 

4.

Sarò vecchia, sarò bianca,

sorda, goffa, irresoluta,

traboccante di consigli,

spilla e scarpe consumate.

Ma sarò lo stesso forte!

Salda quercia, sorda alle offese.

Non sulla tribuna a ciacolare,

ma sulla carta a memorare.

Rievocherò questi anni

infischiandomene delle mode.

Cordiale, brusca, impietosa...

Sarò una vecchia onesta.

 

5.

Che scriva lettere, che semini,

che bruci il pacciame a primavera,

mi pare che il tempo sia in mio potere,

e invece se la ride di me!

Ma non appena l’anelito della poesia

si posa sul piatto della bilancia

all’improvviso

divengono inaffidabili

financo gli orologi più precisi.

Il bocciolo sogna del futuro,

dalle pagine spira il passato

e sfugge, a me che l’inseguo,

il folle tempo sconfinato.

 

6.

Oltre i gelsomini è rimasta

la giovinezza, remota come il mesozoico,

quando ai vostri "attenti!" e "riposo!"

rispondevo con una burrasca:

ecco quanto temevo le intrusioni.

(Ossia:

le profferte, i consigli, le imboscate).

... Non sapevo che il coraggio maggiore fosse

di restare se stessa rimanendo con gli altri.

 

7.

È tardi per ringiovanire, per separarsi è presto...

D’impaccio ai passanti furibondi di prima mattina,

orripilante, folle, vagava per Roma una megera

col turbante di cellofan. (Ed io le sono sorella).

Pur se indifferenti verso di me le maestose rovine

dedicherò loro una modesta poesia...

- Vecchie possenti vivono in Italia,

vecchie che se n’infischiano della follia! -

... Seguirò la megera fino al Colosseo e, persala

di vista, dirò: "Salvami, non tarparmi le ali".

Un angelo è qui svolato spargendo semi tali

che vi cresce tuttora il tumulto della terra.

 

8.

Il corpo s’abitua alla menomazione...

E l’anima, sbalestrata dall’alto,

accasandosi, renderà abitabile

la distanza tra il cielo e l’oggetto.

Son figlia della terra, non una strega!

Ma quanto è nitido il richiamo

e tersi i sogni alla vigilia

delle mie catastrofi grandiose!

Si deve scampare alla tenebra frangiossa

e lasciar svaporare il sale della sventura.

...Sto attraversando una periferia oscura

su cui non riluce neppure una stella.

E così sia: tra l’altezza e l’oggetto...

Ma i cieli attraggono molto di più!

Ora al galoppo, ora al passo, ora al trotto,

mi defilo almeno per un quarto d’ora,

là le speranze si schiariranno,

senza avvilirmi nell’abiezione,

belle come uova pasquali

riscaldatesi dentro il guscio.

 

9.

Inusitato e solitario

terminerà con me questo itinerario...

Morirò in un’anonima pensioncina

al brusio di voci non-russe oltre il muro.

M’attanaglia l’angoscia in terra straniera:

stesami un istante sul letto a riposare

ecco che in una bara, gattabuia demaniale,

mi riportano in patria taciturna.

Poter morire senza agonizzare!

Oh, Signore! Sei buono o severo?

Vidi questo sogno a Milano,

in una pensioncina senza orologio.

 

10.

Nessuna offesa, nessuna vendetta:

solo una melodia di fibre segrete...

Eccoci nuovamente insieme

nel cucinotto senza finestre.

Non è poi tanto male

che infranti i nostri miti

quest’epoca sia trapassata:

più prossimi, ringiovaniti,

siamo più irrequieti e severi...

(Oh, Signore: un’era intera!).

Riguardo al tremore,

la passione è "il massimo

della pena" (o

della ricompensa) per il sogno di quiete...

Abbiamo amato. Abbiamo

vissuto, e conosciuto cose tali

che né il vizio, né l’ascesi

reggerebbero il confronto...

In quest’età di ferro

abbiamo vissuto. Abbiamo amato, molto.

 

11.

Che sia stato il tempo a farmi soffrire,

a scombussolarmi, sviarmi, far perdere il ritmo?

La gente brucia uno spauracchio umano

convinta di combattere una battaglia.

Dell’immiserimento non c’è da stupirsi!

L’aridità sarebbe ben peggiore.

Il tempo della pausa, della fregola, della morte,

è proprio il nostro presente? Verso, in fondo,

lacrime vere! Il proposito si deforma

al gesto altrui. Che t’abbiano ficcato nella slitta

consenziente o meno, sfrecci comunque

per un luogo ostile,

e mentre ti racconci le ciocche canute

sembri un virgulto che spunta dalla cassetta.

... E svanisce nel buio, come una lucertola,

il desiderio di verità, il penultimo.